Università degli studi di Genova
Facoltà di architettura
Laboratorio
di progettazione architettonica IB arch. Massimiliano Giberti
Occupazione Impropria dello spazio Pubblico 17.10.12
Il
progetto dello spazio collettivo come evento
Esercitazione
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Obiettivi e metodi
definizione del campo
Immagino
di trovarmi davanti, su un terreno piano, due cubi dell’apparente misura di sei
metri di lato. Ma si tratta di due cubi astratti, chiusi, senza qualità di
superficie, senza spessore, senza colore, come in un quadro del periodo
surrealista di De Chirico: lo stesso terreno è astratto, incorporeo come quello
di un palcoscenico, e il cielo è inesistente, nero opaco. La luce ha una
precisa inclinazione, tanto che alcune facce sono illuminate, altre in ombra,
altre ancora in penombra, e l’ombra di un cubo investe l’altro, ma non vedo la
fonte della luce.
Sono
cubi leggeri, che con una sola mano posso spostare: ed ecco che ne vengono a
me, a seconda della posizione reciproca dei due solidi, sensazioni spaziali
diverse: ora sono paralleli, quasi accostati, e posti sulla stessa linea; ora
sono più distanti e posso passare fra i due, e la sensazione rimane statica,
perché viene mantenuto l’allineamento e quindi il parallelismo, anzi l’apertura
fra i due determina una simmetria che accenta l’equilibrio statico. Ma se uno
di essi si muove, e girando su se stesso pone uno dei suoi spigoli verso il
centro di una delle facce dell’altro, lasciando solo un paio di metri perché io
possa passare, io lì in mezzo avrò una sensazione completamente diversa da
quella di poco prima: avrò una sensazione spaziale fortemente dinamica e
“acuta”, ma questa sensazione diminuirà via via se la distanza fra la faccia e
lo spigolo aumenterà.
Supponiamo
ora che mi sia possibile entrare in uno dei due cubi, attraverso una porta al
centro di una delle facce verticali. Visto e percepito dall’interno, il cubo è
cosa completamente diversa dallo stesso visto, percepito dall’esterno. Si
tratta di un’unica e sola figura geometrica: ma la geometria è un’astrazione
mentre un cubo che io posso vedere da fuori o nel quale posso entrare è una
realtà spaziale.[1]
Lo
spazio è il campo disponibile per gli oggetti della realtà in quanto si
considerino individuati da una collocazione e da una posizione, dotati di
dimensioni e capaci di spostamento.
Per
le arti figurative lo spazio è il rilievo estetico che assumono i valori
volumetrici degli oggetti posti fra loro secondo determinati rapporti di
posizione e distanza.
Ogni manifestazione artistica è la sintesi di sempre diversi modi di
concepire lo spazio, modi tratti da sempre diverse ed originali esperienze
culturali.
Lo
spazio, o meglio, la rappresentazione di esso vede interrelata la concezione
dello spazio nelle varie culture in quanto l’evoluzione del concetto di spazio
muta al variare della riflessione politica, socio-culturale, filosofica e
scientifica.
Gli
atteggiamenti verso lo spazio mutano continuamente, talvolta in misura molto
piccola, talvolta in modo basilare. Ma sono state pochissime le concezioni di
spazio sorte lungo l’intero sviluppo dell’uomo. Dentro ciascuna di queste
epoche si sono verificate molte varianti e transizioni; poiché l’atteggiamento
dell’uomo verso lo spazio, sempre in uno stato di sospensione, può cambiare
quasi all’infinito entro l’intelaiatura del concetto dominante.[2]
La
prima coscienza di spazio che si ha è quella di spazio fisico, cioè quella più
direttamente legata all’esperienza sensoriale. Tutto quello che ci circonda è
spazio fisico e noi stessi siamo una porzione di spazio. In questo senso
l’esperienza di spazio sarebbe stata preceduta da un concetto molto più
semplice: il luogo.
E
dunque spazio come sinonimo di ordine di oggetti materiali, per cui non ha
senso parlare di spazio vuoto.
Nel 1974 Henry Lefebvre traccia una linea strutturale per la ricerca
portata avanti da questo laboratorio, asserendo che uno spazio sia dato solo
nel momento in cui un corpo lo occupi, nonostante il fatto che, alcune
caratteristiche proprie dello spazio prescindano dal soggetto collocato in esso
e, in qualche modo, ne condizionino l’esistenza.
Per
Leibniz, in effetti, lo spazio è l’indiscernibile. Per discernere “qualsiasi
cosa” collocata in questo spazio devono essere introdotti assi e origini, un
destra e un sinistra, la direzione e l’orientamento degli assi. Questo non
significa, tuttavia, che Leibniz sposi la tesi soggettivista secondo la quale
l’osservatore costituisce la misura del reale. Al contrario, ciò che Leibniz
afferma è che è necessario per lo spazio l’essere occupato.[3]
Cosa
dunque occupa lo spazio? Un corpo – non corpi generici, né la corporeità - ma
un corpo specifico, un corpo capace di indicare una direzione attraverso un
gesto, di definizione di un area attraverso una rotazione, di demarcazione ed
orientamento dello spazio. Perciò per Leibniz lo spazio è assolutamente
relativo.
E’
nello spazio che i corpi esistono, in questo manifestano la propria esistenza
materiale.
E’
dunque possibile affermare che il corpo con la sua capacità di azione, e le
proprie varie energie, crea lo spazio?
Non
è un’assurdità se si considera che l’occupazione può essere interpretata come
manipolazione dello spazio; piuttosto c’è un’immediata relazione tra il corpo e
il suo spazio, tra la collocazione di un corpo nello spazio e la sua occupazione
dello spazio.
Il
moto dell’uomo nello spazio contribuisce ad una visione cinetica di esso sia
come percezione psico fisica che come reazione sensibile ed estetica; su tale
sensazione influisce il tempo, la forma. La fruizione dello spazio naturale trova
la sua componente nel rapporto uomo-spazio-tempo, ed è caratterizzata per un
senso dall’intrinseca configurazione statica o dinamica delle forme, per
l’altro dalla suggestione cinetica conferita dal moto stesso del fruitore allo
spazio che, svolgendosi in rapida mutazione sotto il suo sguardo, assume una
decisa qualificazione dinamica.
Così
fra l’uomo e l’ambiente viene a determinarsi un rapporto costante,
infinitamente variabile perché tali sono le coordinate spazio-temporali che lo
individuano. Ne consegue una potenziale, continua ricezione dello spazio da
parte del fruitore; perciò egli non resta mai in stato di passività, ma si fa
vero e proprio protagonista della realtà spaziale in quanto egli stesso diviene
interprete e suscitatore di sempre nuovi e rinnovati episodi spaziali.[4]
È
proprio questa itinerante capacità interpretativa e ricreativa che
sostanzialmente invera il senso dell’unità spaziale, cioè della continuità
dello spazio indipendentemente dal mezzo che lo fraziona e caratterizza,
consentendo perciò, al di fuori ed oltre le categorie culturali nelle quali è
distinto, la coscienza di un’unica entità.
Il Progetto dell’Evento
La capacità di uno spazio
collettivo urbano di catalizzare eventi, incontri, scambi culturali è alla base
di questa prima esercitazione. Un luogo, come una piazza, un portico, una
strada, assumono tanto più valore identitario e forza aggregativa nella città
quanto più sono in grado di modificarsi, plasmarsi nella forma e nelle
dimensioni per accogliere eventi diversi e sfaccettati nel susseguirsi dei
periodi storici. La reale forza vitale di un monumento e di uno spazio pubblico
non risiede solo nella sua figura, nell’immagine che di questa si può
riprodurre e ricordare, ma soprattutto nel suo valore d’uso, legato alla memoria
della vita vissuta in quel medesimo luogo,da generazioni, culture e classi
sociali diverse.
Come il corpo umano o i
corpi in movimento possano modificare lo spazio collettivo e quali siano le
regole attraverso le quali queste modificazioni possano essere controllate e
tradotte in termini architettonici e spaziali sono i temi intorno ai quali
lavorare in questa esercitazione.
L’occupazione impropria dello spazio pubblico significa leggere uno spazio urbano consolidato e ricco di
valori simbolici ed identitari, attraverso la messa in crisi delle regole che
ne hanno governato il progetto. Progettare un evento straordinario come un
concerto, o una manifestazione di massa all’interno di uno spazio che nasce per
altre esigenze legate all’uso quotidiano (una strada per il transito di mezzi e
pedoni, un portico per il ricovero di animali e attrezzi, una piazza per il
mercato ecc..) consente di comprendere a fondo le ragioni del disegno dello
spazio collettivo svincolando la forma di un luogo come di un edificio dalla
sua capacità di accogliere eventi mutevoli e programmi d’uso alternativi.
Dati tre luoghi urbani
caratteristici della città di Genova, realizzati in tre epoche storiche
differenti e, attualmente vissuti come importanti spazi collettivi, ogni
studente progetterà per uno dei tre ambiti un evento temporaneo che occupi tale
spazio esaltandone le potenzialità e facendo emergere caratteristiche
specifiche di ogni luogo che non vengono usualmente sfruttate nell’uso
quotidiano degli spazi stessi.
Per ogni evento verrà
prodotto un manifesto in formatoche riporti il titolo ed il
programma temporale dell’evento ed una o più immagini che riproducano il nuovo
spazio collettivo urbano come teatro dell’evento stesso.
Il manifesto sarà un vero e
proprio strumento promozionale per l’evento e dovrà rappresentare in modo
sintetico e diretto l’idea dell’evento ed il modo in cui modificherà lo spazio
pubblico in cui si svolgerà.
Le tecniche per la
realizzazione del manifesto sono libere, dal collage al fotomontaggio, al
modello tridimensionale fotografato, al video.
Il manifesto dovrà essere
riprodotto in formato digitale e verrà proiettato in aula durante la
presentazione dei lavori in forma pubblica. Le immagini devono categoricamente
essere 1024 x 762 cm.i in estensione jpeg.
riferimenti
bibliografici
- Erwin Panofsky, La prospettiva come forma simbolica,
Feltrinelli,
Milano, 1975
- H. Wollflin, Principi fondamentali della storia dell’arte, Firenze,
Sansoni, 1991
- Marshall Mc Luhan, Gli strumenti del comunicare, Milano,
1964
- Mario Perniola, L’estetica del 900, Il Mulino, Bologna,
1997
[1] Ludovico
Quaroni, Progettare un edificio, otto
lezioni d’architettura, Mazzotta, Milano, 1977, pp.81-82.
[2] S. Giedion, L’eterno presente, Feltrinelli, Milano,
1965, p. 530.
[4] Le installazioni di Richard Serra o di Michael Heizer, a partire dalla fine
degli anni sessanta, hanno rappresentato una prima appropriazione complessa da
parte degli artisti plastici dei concetti di esperibilità di un luogo
attraverso processi psico motori e di uso della memoria come strumento di
appropriazione spaziale.
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